Relativo al progetto:    Norma     

l’Opera- Italia – mensile

12 Marzo 2022

Relativo al progetto: Norma  


Un dramma fuori dal tempo

Torino: Gilda Fiume e Annalisa Stroppa
protagoniste di Norma

La stagione del Teatro Regio prosegue con Norma. Lo spettacolo è quello allestito nel 2016 al San Carlo. L’impianto (scene di Ezio Frigerio, costumi di Franca Squarciapino e regia di Lorenzo Amato) conserva immutato il fascino originario. La dimensione atemporale, sospesa, della storia è funzionale alla raffigurazione di una vicenda universale di amore e morte, di guerra fra popoli, di opposizione fra ragion di Stato e motivazioni private. I protagonisti agiscono sullo sfondo di una natura selvaggia e inospitale. Boschi dai confini che sfuggono allo sguardo, umide e oscure foreste, talora attraversate da sporadici raggi di luce, pareti rocciose, caverne di proporzioni michelangiolesche evocano il Romanticismo che palpita nella partitura, pur nell’involucro neoclassico del libretto di Romani. D’altronde, la stessa fonte letteraria, la tragedia Norma, ossia l’infanticidio di Alexandre Soumet, mostra tale natura bifronte: modellata su prototipi raciniani, si colloca sul crinale fra Classicimo e Romanticismo. La natura, viva, pulsante, che nello spettacolo torinese assume addirittura i tratti di un personaggio collettivo, testimonia in sé la presenza del divino. Ciò è di particolare evidenza nel secondo atto dell’opera, quando, nel fitto del verde, giganteggia l’effigie di lrminsul, l’albero cosmico del paganesimo nord-europeo. È il panteismo, il Deus sive Natura di Spinoza che la cultura ottocentesca ha saputo recuperare. Anche dall’angolo visuale del canto Norma è al crocevia di itinerari diversi. Dal passato eredità il côté virtuosistico, che le giunge per il termine medio di Rossini, mentre anticipa, nei suoi modi espressivi, il linguaggio vigoroso e spianato che farà scuola negli anni a venire. Nell’esecuzione del Regio, almeno due protagonisti, Gilda Fiume (Norma) e Dmitry Korchak (Pollione), si collocano sul versante belcantistico, investiti dall’onda impetuosa che proviene dal passato. Il paradigma a cui attinge la Fiume è quello del soprano di coloratura, impersonato da Mariella Devia, interprete dell’edizione napoletana del 2016, che giunge a vestire i panni della sacerdotessa druidica dopo una lunga militanza in Rossini e nei principali ruoli di Bellini e Donizetti di cui ha saputo amplificare la componente lirica. Per questo la lettura perlacea di “Casta diva” offerta dalla Fiume ha rappresentato uno dei momenti più alti della sua performance. Il pubblico torinese le ha tributato calorosi applausi, apprezzando la pulizia di emissione e la precisione nell’esecuzione delle guizzanti fiorettature disseminate nella preghiera e nella successiva cabaletta “Ah! bello a me ritorna”.

Anche Dmitry Korchak, tenore di matrice belcantistica, si colloca nell’emisfero opposto rispetto al modello originario di Pollione. Diversamente da Domenico Donzelli, primo interprete della parte del proconsole romano, non possiede la brunita imperiosità dei centri. Tuttavia, è svettante nella zona superiore del pentagramma. Gli acuti sono saldi e rivelano una timbratura contraltineggiante di stampo rossiniano. Come il do superiore, tenuto in corrispondenza della corona sull’ultima sillaba di «eran rapiti i sensi» nella cavatina «Meco all’altar di Venere», o le note interpolate con slancio nelle frequenti variazioni adottate nel corso dell’opera.

Annalisa Stroppa è un’Adalgisa collaudata, avendo affrontato ripetutamente la parte sui principali palcoscenici: Massimo di Palermo, Liceu di Barcellona, Colon di Buenos Aires, Bayerische Staatsoper di Monaco e così via. La voce è ampia, compatta. Risuona sicura nella sala, restituendo un timbro squisitamente mezzosopranile. Il fraseggio, curato, intercetta appieno il dramma della giovane novizia. Fabrizio Beggi è un basso cantante di tendenza baritonale. Fra i cantabili, «lte sul colle, o Druidi» ottiene il rilievo migliore.

La buona resa dello spettacolo torinese si deve in gran parte alla bacchetta di Francesco Lanzillotta, attenta a cogliere le sfumature del dramma. Anche la scelta dei tempi, ora distesi, ora incalzanti, non è mai stata fine a sé stessa, bensì funzionale alle esigenze del dramma. Allo stesso modo la tracciatura dei colori orchestrali non ha assecondato un’intenzione edonistica. Al contrario, è stata volta ad esprimere lo stato dei sentimenti che in ogni istante palpitavano sul palcoscenico. La lista degli interpreti era ultimata da Joan Folqué nei panni di Flavio e da Minji Kim in quelli di Clotilde.

Alberto Bazzano